La luce è nota: Antonioni e Di Venanzo di Leonardo Persia

30-05-2013

Michelangelo Antonioni (1912-2007) e Gianni Di Venanzo (1920-1966). È stato uno degli incontri fondamentali della storia del cinema italiano. Attraverso il quale l’opera dei due giganti si ri-definisce e si ri-direziona. Si fa compiuta.

 

Quei nuovi spazi di messinscena, di regia simbolica e realistica, non avrebbero potuto esprimersi come si sono espressi senza quelle luci vere perché tecnologiche. Le piccole photoflood, che de-teatralizzano il set, vengono utilizzate come fossero una luce vera proveniente da una finestra. Linee dritte o ondulate, musica di luce, illuminano il vuoto a cui si cerca di dare una forma, facendole materializzare come non-essere. Non è più l’aspetto spirituale del chiarore nell’oscurità, è la stessa rifrazione di luce a designare la cupezza, lo scanner darkly dell’occhio non cieco ma cieco. L’invisibile (l’anima) è filmato.

 

La fotografia di Di Venanzo, che riflette sulla stessa luce elettrica, che utilizza al meglio luminarie in campo e lampade di interni (senza nessun tipo di artificiosità e artificialità se non quella stessa di ciò che si rappresenta), riesce come non mai a dar corpo ai nuovi (non) sentimenti, a manifestare quelle geometrie dell’anima (e della società) in tumulto. Svecchia di colpo il look del cinema italiano (e non solo). Rivela il mondo nuovo.

Modula l’incomunicabilità, l’effige attraente e fredda della «terza guerra mondiale» (cfr. Franco Fortini a proposito del suicidio di Pavese), facendo del mondo un cinegiornale (la società dello spettacolo che sposta ogni configurazione di valore nell’ordine superiore del simulacro). E colloca strategicamente (e definitivamente) i volti degli esseri umani, che soffrono e non sanno aiutarsi, al di là dell’immagine-affezione. Non c’è più distinzione determinata dalla lotta di classe (vedi Il grido e la sua nebbia realistica e metaforica). E, come nel caso di questo binomio, non c’è soluzione di continuità tra disegno registico e assestamento fotografico dello stesso. Ognuno è causa e conseguenza dell’altro.

 

L’occhio (la luce) annega nella regia. E ri-scrive l’aspetto del reale. Se davvero esso viene assorbito dal codice visivo, dall’artificio diffuso, è quell’artificio a diventare realismo. La nozione di assenza (di Dio e dell’umano) risulta cambiata. Il disegno (cancellato) è quello del sentimento liquido. Trionfano le merci, l’inorganico integra, dissolvendolo, l’organico. La luce è strana. E oggi quella luce è nota.

 

Leonardo Persia

 

Leave a Reply

You must be logged in to post a comment.