MICHELANGELO ANTONIONI di Guido Michelone

8-03-2014

LETTURE Anno 57 – N. 583 – gennaio 2002 DossierMichelangelo Antonioni

Storia di un uomo che ha segnato un’epoca, soprattutto quella dell’Italia del dopoguerra. A partire da “Il grido”, misconosciuto poi osannato, cui sono seguiti “L’avventura”, “La notte”, “L’eclisse”, “Deserto rosso”…

Quello di Antonioni è stato definito, attorno agli anni Sessanta, cinema dell’incomunicabilità o dell’alienazione. Con queste due espressioni oggi si definisce il tentativo del regista di descrivere gli aspetti reconditi dell’animo umano, fino a portare in superficie un nucleo di verità, quasi ad esorcizzare i mali inscenati. In tal senso il lavoro di Antonioni non è per nulla incomunicabile o alienato ma, all’opposto, comunica e aliena al tempo stesso gli emblemi perniciosi della civiltà novecentesca. In quest’opera di sottile denuncia dei guasti prodotti da un certo sviluppo della società contemporanea emerge alla distanza una lezione morale che di rado è stata sottolineata. Ma già nel lontano 1968, con un’indagine sulle possibili declinazioni di un cinema cristiano, padre Luigi Bini, allora responsabile del settore film di Letture, individuava, a proposito di Antonioni, la categoria di “Vuoto come Presenza”, indicando con ciò come il suo cinema esplorasse la verità dell’uomo, risolvendo nell’abisso o nella vertigine il cospetto del divino, attraverso il resoconto dei frantumi della coscienza abbandonata dallo spirito. Si tratta verosimilmente di una “fede” ignorata, in quanto l’autore è rivolto soprattutto all’analisi del dissolvimento dell’uomo. Ma l’opera di Antonioni parla alla coscienza da se stessa, come Bini spiega evocando le immagini della sequenza cinematografica forse più misteriosa ed emblematica di ogni tempo: il finale con il match tra il protagonista e i giovani in Blow up.

Il dossier completo

http://www.stpauls.it/letture03/0201let/0201le91.htm

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