Antonioni parla dei suoi film

29-06-2014

Nessuno lo sa e dunque me lo riconosce, ma questo fatto, di essermi inventato il neorealismo da solo, intimamente mi dà una certa soddisfazione.Eravamo nel ’43. Visconti girava Ossessione sulle rive del Po, e sempre sul Po, a pochi chilometri di distanza, io giravo il mio primo documentario “Gente del Po”. Fu così, soprattutto trovandomi un certo materiale documentario tra le mani, che cercai di fare un montaggio assolutamente libero, libero poeticamente, ricercando valori espressivi non tanto attraverso un ordine che desse con un principio e una fine sicurezza alle scene, un montaggio a lampi, inquadrature isolate, che dessero un’idea più mediata di quello che volevo esprimere [...] Si tratta di trovare in noi l’eco del nostro tempo. Per un regista questo è l’unico modo di essere sincero e coerente con se stesso, onesto e coraggioso con gli altri; l’unico modo per essere vivo.

“E così ho cominciato con Cronaca di un amore, in cui analizzavo la condizione di aridità spirituale e anche un certo tipo di freddezza morale di talune persone dell’alta borghesia milanese. Proprio perché mi sembrava che in questa assenza di interessi al di fuori di loro, in questo essere tutti rivolti verso se stessi, senza un preciso contrappunto morale… in questo vuoto vi fosse materia sufficientemente importante da prendere in esame”

Con La notte ho cercato di proseguire il discorso dell’Avventura. È illusorio credere che basti sapere tutto di noi stessi, che basti conoscersi, analizzarsi nelle pieghe più recondite della propria anima. Questa è tutt’al più la fase preliminare. Non è certo tutto. Nel migliore dei casi si giunge a una sorta di reciproca pietà. Bisogna andare più in là. I personaggi della Notte arrivano fino a quel punto ma non riescono a spingersi oltre. Sono personaggi di oggi, non di domani.

Presentato al festival di  Cannes nel 1960 è fischiato dal pubblico, ma osannato dalla critica. “Trentacinque intellettuali, Rossellini e Bazin in testa, mi mandano un attestato di solidarietà. Un vero e proprio manifesto in difesa de L’avventura, [...] ‘per il notevole contributo alla ricerca di un nuovo linguaggio cinematografico’

Il Deserto Rosso. Mi riesce molto difficile parlare di questo film, adesso. È ancora troppo recente. Sono ancora troppo legato alle “intenzioni” che mi hanno spinto a farlo, non ho né la lucidità ne il distacco necessario per dare un giudizi. Ma credo di poter dire che, per una volta, non si tratta di un film sui sentimenti. I risultati ottenuti nei miei film precedenti (buoni o cattivi, belli o brutti che siano) sono stati sorpassati e resi caduchi. Il fine è completamente diverso. Prima, a interessarmi erano soprattutto i rapporti dei personaggi tra di loro. In questo film, il personaggio principale si confronta anche con il contesto sociale, e questo mi porta a trattare la storia in modo del tutto diverso. È troppo semplicistico dire, anche se sono stati in molti a dirlo, che io faccio un atto di accusa contro questo mondo industrializzato ed inumano che schiaccia l’individuo e lo nevrotizza. Al contrario, la mia intenzione (anche se spesso uno sa molto bene da dove parte, ma non ha idea di dove arriverà) era di rendere la bellezza di quel mondo. Anche le fabbriche possono essere dotate di grande bellezza. Le linee rette e curve delle fabbriche e delle loro ciminiere possono essere anche più belle di un filare d’alberi che l’occhio ha già visto troppe volte. È un mondo ricco, vivo, utile. Per me, e ci tengo a dirlo, quella specie di nevrosi che si vede in Il deserto rosso è soprattutto una questione di adattamento. C’è chi è riuscito ad adattarsi e chi non l’ha ancora fatto, perché è rimasto ancora troppo legato a strutture e a ritmi di vita ormai superati. È il caso di Giuliana: è la violenza dello scarto, dello sfasamento tra la sua sensibilità, la sua intelligenza, la sua psicologia, e la cadenza che le viene imposta a provocare la crisi del personaggio. È una crisi che non riguarda soltanto i suoi rapporti epidermici col mondo, la sua percezione dei rumori, dei colori, dei personaggi freddi che la circondano, ma anche il suo sistema di valori (educazione, morale, fede), che non sono più validi e non la sostengono più. Si trova allora nella necessità di rinnovarsi completamente, come donna. È quello che le consigliano i medici e che lei si sforza di fare. Il film, in un certo senso, è la storia di questo sforzo. Nell’Eclisse, Vittoria è una giovane donna calma ed equilibrata, che riflette su ciò che fa. Non c’è in lei nessun elemento di nevrosi. La crisi, nell’Eclisse, è di tipo sentimentale. In Il deserto rosso i sentimenti sono dati per scontati. E del resto i rapporti tra Giuliana e suo marito sono normali. Se qualcuno le domandasse: “Ami tuo marito?”, risponderebbe di sì. Fino al suo tentativo di suicidio, la crisi è sotterranea, non è visibile. Vorrei sottolineare che non è l’ambiente a far nascere la crisi, la fa semplicemente scattare. Si potrebbe anche pensare che al di fuori di questo ambiente non vi sia crisi, ma non è vero. La nostra vita, anche se non ce ne rendiamo conto, è dominata dall’industria. E per industria non dobbiamo intendere solamente le fabbriche, ma anche e soprattutto i prodotti. I prodotti sono dovunque, entrano nelle nostre case, sono fatti di plastica o di altri materiali sconosciuti anche solo fini a pochi anni fa, ci raggiungono dovunque siamo. E grazie all’aiuto della pubblicità, che tiene sempre più conto della nostra psicologia e del nostro subconscio, ci ossessionano. Posso dire che, situando la vicenda di Il deserto rosso nel mondo delle fabbriche, sono risalito alla sorgente di questa specie di crisi che come un fiume riceve mille affluenti e si divide in mille bracci per sommergere tutto e, spargersi dappertutto. Penso che negli anni a venire si verificheranno trasformazioni molto violente, sia nel mondo esterno che all’interno degli individui. la crisi di oggi viene da questa confusione spirituale, confusione delle coscienze, della fede, della politica: sono tutti sintomi delle trasformazioni che verranno. Allora mi sono detto: “che cosa c’è da raccontare, oggi, al cinema?”, e ho avuto voglia di raccontare una storia fondata sulle motivazioni di cui parlavo poco fa. Richard Harris fa un personaggio quasi romantico: pensa di fuggire in Patagonia, non ha alcuna idea di cosa bisogna fare. Scappa, e crede così di risolvere il problema della sua vita. Ma il problema è dentro, e non fuori di lui. Ed è ancora più vero, perché gli basta l’incontro con una donna a provocare in lui una crisi, e già non sa più se partire o no, questa storia lo sconvolge. Vorrei mettere in luce un momento, nel film, che è un atto di accusa contro il vecchio mondo: quando questa donna in crisi ha bisogno di qualcuno che l’aiuti, trova invece un uomo che si approfitta di lei e della sua crisi. Si trova davanti il vecchio mondo, ed è il vecchio mondo a turbarla e a vincerla. Se avesse incontrato un uomo come suo marito, quest’uomo si sarebbe comportato diversamente: prima avrebbe cercato di curarla, poi, dopo, forse… Mentre in questo caso è il suo stesso mondo a tradirla.

Facendo un film si vive, e si risolvono anche, sempre, dei problemi personali. Problemi che riguardano il nostro lavoro ma anche la nostra vita privata.

Sento il bisogno di esprimere la realtà in termini che non siano del tutto realistici. La mia linea
bianca, astratta, che entra nell’inquadratura all’inizio della sequenza della stradina grigia
m’interessa molto di più della macchina che sta arrivando: è un modo di affrontare il personaggio
partendo dalle cose, più che dalla sua vita.

Secondo me c’è un rapporto tra i movimenti di macchina e il colore.

Non mi sento lontano dalle ricerche del noveau roman, ma mi aiutano meno di altre:
m’interessano di più la pittura e la ricerca scientifica, anche se non credo che mi influenzino in
maniera diretta. In questo film non c’è nessuna ricerca pittorica, mi sembra che siamo lontani dalla pittura. E naturalmente queste esigenze, che in pittura non hanno alcun contenuto narrativo, ne ritrovano uno al cinema: è qui che le ricerche del romanzo si incontrano con quelle della pittura.

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